martedì 18 agosto 2015

Recensione Ant-Man: Nella botte piccola c'è il vino buono


Sembra proprio che Marvel e Disney non sbaglino più un colpo (eccezion fatta per i film su Thor) per quanto riguarda l'universo cinematografico dei superoroi. La cosa più sorprendente è che le stelle più brillanti di questo firmamento sono quelle su cui in molti, per un motivo o per un'altro, non avrebbero scommesso mezzo centesimo. Nel 2008 è stato il caso di Iron Man (sicuramente non il più noto supereroe dell'epoca), è poi stata la volta del riscatto di Captain America con un secondo film (The Winter Soldier) che ha saputo far ricredere tutti su quali potessero essere le potenzialità espressive del personaggio, a ruota son poi arrivati un manipolo di eroi sgangherati e, praticamente, sconosciuti alla massa, che, grazie alla regia fantastica di James
Gunn e ad un cast azzeccatissimo, hanno saputo farci vivere un'indimenticabile avventura nello spazio (che farà il bis nel 2017). Sto parlando ovviamente di Peter Quill e soci, ossia, i Guardiani della Galassia.Ora l'onere di continuare a tenere alto il vessillo di quelli che amorevolmente chiamo "Supereroi sfigati", cioè quelli che le masse guardano con sospetto e scarso interesse, è ricaduto su Ant-Man.

Devo essere sincero, proprio come avvenuto con i guardiani, ero titubante all'annuncio. Conoscevo il personaggio ma non avevo mai approfondito l'argomento e quindi non riuscivo a vederlo come qualcosa in grado di accalappiarle coloro che non fossero fan del personaggio (voglio dire in giro non sentivo altro che frasi del tipo "L'uomo formica....ma per favore!"). Questo, unito all'abbandono di Edgar Wright, di cui però è rimasta buona parte sceneggiatura (e diverse indicazioni per la regia), e l'inizio lento in America, avano iniziato a far vacillare buona parte delle mie speranze. Tutto però si è capovolto in fretta con un boost di incassi negli states graziato dal passaparola (cosa che al tempo favorì anche il successo dei guardiani), e quindi andai in sala con un nuovo slancio d'entusiasmo. E questo slancio, beh, come avrete capito, è stato ampiamente ripagato.



Al contrario di quello che ci si potrebbe aspettare (se non aveste seguito neanche mezza news sulla
produzione della pellicola) le vicende non vedranno come protagonista Hank Pym (l'originale Ant-Man) bensì il suo successore, Scott Lang, un ex topo d'appartamenti appena uscito di galera che tenta solo di rigare dritto per il bene di sua figlia. Ovviamente le cose non andranno secondo i piani e, grazie ad una macchinazione del dottor Pym si ritroverà a vestire i panni di Ant-Man per aiutare lo scienziato e sua figlia Hope (interpretata da Evangeline Lilly, a sventare i piani di Darren Cross, ex allievo di Hank, per la creazione di una super armatura miniaturizzante nota con il nome di "Calabrone".



Leggendo la trama insomma non si noterebbero poi chissà quali elementi di originalità nella pellicola diretta da Peyton Reed che, come già detto, è stato chiamato a sostituire l'uscente Wright, di cui però è rimasto sia il soggetto che buona parte della sceneggiatura. E sono proprio questi elementi, assieme al cast azzeccatissimo ad essere le carte vincenti del film. Il tocco del caro Edgar si sente, le sue direttive sono palpabili (ma viene da chiedersi quindi che cosa sarebbe successo se non avesse abbandonato il progetto). Le inquadrature sono dinamiche, spesso con tagli a mitraglia tipici dei migliori film incentrati sulle rapine, altre volte più pacate, alle volte di ampio respiro altre più soffocanti, proprio per dare la giusta dimensionalità all'opera (un uomo "piccolo", sopraffatto dagli eventi della vita, che indosserà i panni di un eroe in miniatura) sino ad arrivare a momenti quasi onirici ed estremamente artistici.
Ovviamente anche Reed ci mette del suo. La sua esperienza alla regia di commedie si sente (Yes Man, The Break Up): le battute sono sempre azzeccate, le gag ben studiate e  le spalle comiche perfettamente integrate nel loro ruolo (specie il trio di sgangherati criminali di bassa lega composto da Michael Pena, T.I. e Wood Harris) e alcune delle scene d'azione si mescoleranno perfettamente alla vena divertente del film (dalla prima trasformazione di Scott sino alla celeberrima scena del trenino Thomas).



Paul Rudd ci consegna quello che è forse il più umano tra i super eroi, un'uomo comune dell'america contemporanea, sopraffatto dalle difficoltà, spinto al crimine per necessità, ma in fondo un buon uomo disposto a tutto per una seconda chance che vuole soltanto il bene di sua figlia.

Diverso e speculare è invece il rapporto instauratosi ed evolutosi tra Pym e Hope. Se Scott è per sua
figlia il simbolo assoluto dell'eroe, Hank è, agli occhi della ragazza un mito caduto, qualcuno con cui collaborare soltanto per necessità. Si instaura così un triangolo di specchi tra i 3 personaggi con uno sfruttamento reciproco che diventa anche motivo di crescita ed evoluzione sia personale che collettiva.



Tornando a parlare delle inquadrature, un plauso è da fare alla fotografia e al lavoro degli esperti di effetti speciali della ditta Lola VFX e dell'immortale  Industrial Light and Magic. Come detto, infatti, quello consegnatoci è un film carico di cultura pop e colore esaltato ulteriormente da una fotografia che da l'idea del gigantismo scenico in rapporto al protagonista minuscolo, il tutto esaltato dal lavoro sopraffino svolto dai maghi degli effetti speciali della ILG. Lola VFX ci ha invece consegnato un Michael Douglas più giovane di 30 anni (se non di più) grazie all'esperienza acquisita nel campo del make up digitale.



C'è poi anche spazio per quello che io bramo da sempre vedere in un'universo esteso come quello Marvel. Finalmente alle semplici citazioni si aggiungono veri e propri camei di strutture e personaggi che abbiamo già visto in altre pellicole e che vedremo nei prossimi lungometraggi (o nelle serie TV), il tutto in completa continuity con gli eventi degli ultimi film (ma non voglio entrare ulteriormente nel dettaglio e rischiare di rovinare la sorpresa a qualcuno).



Ovviamente non è tutto oro quello che luccica ed Ant Man dimostra di non essere completamente riuscito a scrollarsi di dosso quello che è un difetto costante delle pellicole targate Marvel. Sto ovviamente parlando del Villain. Cross è infatti sì un passo avanti rispetto a quanto visto con Ronan nei Guardiani della Galassia ma (forse anche a causa della sua natura di "nemico formativo") risulta ancora molto scialbo e poco memorabile. La sua pazzia è percepibile ma nonostante ciò finisce col sembrare l'equivalente di un bambino viziato che vuole farsi notare. Insomma buoni i propositi ma gli esiti non sono eccezionali.





Ant Man non è il cinecomic perfetto, ma è sicuramente uno dei migliori su
piazza, capace di dimostrare la maestria di Disney e Marvel del saper proporre al grande pubblico personaggi apparentemente poco attraenti grazie ad una combinazione perfetta di elementi produttivi e promozionali (diciamocelo chiaro, potrebbero venderci un'ora di riprese di una mattonella con scritto "prodotto da Marvel Studios" e noi lo andremmo a vedere comunque). Un film che sa intrattenere sia lo spettatore che cerca solo una distrazione estiva grazie a gag e scene d'azione ben realizzate ma anche chi vuole quel tocco in più grazie ad una regia che saprà sorprendere in più di un'occasione.



Come bonus vi lascio questo mia video riflessione dedicata al rilancio dei "Supereroi sfigati".




Nessun commento:

Posta un commento