lunedì 21 agosto 2017

Children of Zodiarc: una piacevole sorpresa


Non pensavo di trovarmi a così breve distanza dal precedente articolo a scrivere una seconda recensione e, guarda caso, sempre sfornato da quella fucina di piccoli sviluppatori indipendenti raccolti sotto l'ala protettiva di Square Enix grazie all'iniziativa "Square Enix Collective".

La sorpresa è stata doppia proprio per l'inaspettata concessione del codice review (magari potrebbero aver apprezzato il mio lavoro su Black: The Fall) e sopratutto perché un titolo sul quale non avrei scommesso mezzo centesimo, Children of Zodiarc, protagonista di questa recensione, è stato capace di sorprendermi sotto diversi aspetti.

Prima di addentrarci nel cuore di questa "recensione" (che, come la scorsa, sarà più una raccolta di impressioni e, eventualmente, "consigli" per l'acquisto o meno) voglio mettere le mani avanti. Gli strategici a turni non sono mai stati il mio forte, è un genere che o purtroppo bistrattato per moltissimi anni e che ho iniziato ad apprezzare soltanto grazie ad X-Com: Enemy Unknown, quindi spero possiate chiudere un occhio sulla superficialità dell'analisi di un genere che mi è poco avvezzo - e lo è ancor meno l'ibrido tra turni e giochi di carte/dadi.

Fatta questa premessa, possiamo cominciare.

La prima sorpresa, per quanto mi riguarda, è senza dubbio da rintracciare nel comparto narrativo della produzione. Lo ammetto, viste le premesse, mi aspettavo il solito intreccio che vede per protagonisti un gruppo di giovani outsiders intenti a rovesciare un governo tirannico e corrotto grazie al potere dell'amicizia e della speranza (in classico stile battle shonen) ed invece ecco che, come un fulmine a ciel sereno, dopo circa un terzo di avventura iniziano ad emergere tutte quelle influenze, oserei dire, Leviniane che hanno portato i ragazzi di Cardboard Utopia a dare vita ad una vicenda in cui a farla da padrone - anche se in modo forse un po' ingenuo e superficiale - sono le scelte, lo sfondamento ludico della quarta parente, il fine della violenza ludica, ed in sostanza i dilemmi morali (volendo ritroviamo anche, sempre in fase embrionale, alcuni rimandi alla figura del "The Sorrow" Kojimiano che abbiamo potuto apprezzare in Metal Gear Solid 3, grazie all' "arena" che spunterà a circa metà avventura). Insomma non mi aspettavo proprio alcuni dei risvolti più importanti della vicenda così come, sono rimasto colpito dal coraggio di inserire, in un prodotto di questo tipo (e con i toni messi in luce inizialmente), scelte di sceneggiatura e di struttura così pesanti.
Ero davvero pronto a gridare, nel corso delle prime ore, alla dissonanza ludonarrativa, con dilemmi morali e scrupoli di coscienza totalmente in contrasto con l'azione a schermo (ogni missione è infatti legata ad uno scontro, non ci sono meccaniche di diplomazia o che possano permettere opzioni di approccio "pacifiche") per poi scoprire che quello fosse tutto un piano ben calcolato (per quanto, voglio ripeterlo, non esente da difetti) per poter espletare il più possibile un intento narrativo netto.
Se devo proprio fare un appunto a questa struttura narrativa, vanno evidenziate, oltre alle più volte citate ingenuità legate al voler dar vita ad una storia contenutisticamente superiore, forse, alle proprie capacità creative, è impossibile chiudere un occhio su alcuni "buchi" di un certo peso come l'entrata e l'uscita di scena di alcuni personaggi senza dare un vero e proprio impatto alla vicenda o alcune sottotrame spesso accennate e poi lasciate a sé stesse (forse per favorire il percorso di crescita e formazione psicologica della giovane protagonista). Ma non voglio calcare troppo la mano in questo senso perché non ho approfondito troppo, per il momento, le quest legate all'Arena (che, viste le premesse, potrebbero essere utili per svelare diversi retroscena di non poca importanza).

Sul piano artistico, invece, non riesco a sbilanciarmi troppo. Per quanto io apprezzi uno stile così
caricaturale, a metà strada tra oriente ed occidente, non posso negare che spesso, eccezion fatta per i modelli dei protagonisti, il design risulti spesso privo di mordente e si perda in un bicchier d'acqua creativo.
Per non parlare poi dei modelli in game in cui si è fin troppo spinto sul fattore "deformed" per renderli riconoscibili sul campo di battaglia, a tal punto da renderli grotteschi e deformi se osservati dalla distanza ravvicinata.
Nulla da dire, invece, sugli artwork che accompagnano l'inizio e la fine dei vari livelli, d'impatto e sempre in grado di comunicare qualcosa, che si tratti del degrado di una città in rovina, o della luce di speranza di un mondo tutto da scoprire.

Vi sarete ormai accorti che da tutto questo discorso ho lasciato fuori ogni riferimento al gameplay del titolo, questo proprio in virtù delle premesse fatte in apertura. Se, infatti, alla mia difficoltà di dover parlare di un titolo focalizzato sulla strategia a turni ci aggiungiamo meccaniche legate alla casualità delle carte (e dei dadi), per quanto alle spalle ci sia una strategia non indifferente (e magari analizzata in maniera sin troppo superficiali da dilettanti del settore come il sottoscritto), otteniamo un bel mix di elementi difficili per me da analizzare.
Ma, siccome questo "mix" son riuscito ad apprezzarlo, voglio comunque parlarvene e convincervi della sua bontà.
Nonostante le varianti sul tema siano praticamente nulle, come detto ogni problema vieni risolto con la forza bruta (o al massimo con la fuga da una situazione di pericolo), a vivacizzare il tutto ci pensano le differenti classi ed abilità di eroi e nemici e sopratutto le numerose variabili dettate proprio dalla combinazione di carte e, sopratutto, dei dadi. A mancare però sono la maggior parte dei meccanismi legati al posizionamento, e quelli presenti sono relegati ad un ruolo quasi marginale (ecezion fatta per l'attacco di spalle, ma anche lì si tratta comunque di un discorso che lascia il tempo che trova). Insomma vengono meno moltissimi di quegli elementi strategici che rendono avvincenti titoli di questo tipo (leggasi, nel mio caso, X-Com). Mancanza che però viene, almeno in parte sopperita, da un sistema che a modo suo da pepe ad una formula che, altrimenti, risulterebbe troppo raffazzonata e ripetitiva.

Quindi, che dire in definitiva di Children of Zodiarcs? Cardboard Utopia, seppur con diverse incertezze, è riuscita a confezionare un prodotto capace di dire la sua in un genere di nicchia grazie, sopratutto, ad un comparto narrativo che, al netto di alcuni passi falsi, non cade del tutto in una narrazione banale abbracciando tematiche care ad esponenti di punta del medium contemporaneo e comunque risultando godibile anche sul piano prettamente ludico, anche se incapace di poter tenere il passo con produzioni simili di più alto profilo.
Perciò il mio consiglio è quello di dargli una chance sia se amate narrazioni ludiche che tentano di esplorare i limiti del videogioco e le sue dissonanze sia per coloro che amano i totoli basati sull'utilizzo di carte e dadi (non è un caso che il nome del team di sviluppo sia un chiaro tributo al mondo dei giochi da tavolo che ha pesantemente influenzato questo loro primo progetto).






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